Ci vuole Fedez
FABIO FALABELLAL’exploit del rapper milanese al concerto del 1° maggio scatena il dibattito su censura, diritti, Ddl Zan e trans-omofobia
È amaro e singolare constatare di vivere in un Paese talmente arretrato, oscurantista e conformista in cui per la promozione dei diritti civili riesca a far di più e in una sola sera, un singolo artista, benché affermato e famosissimo, che in circa vent’anni i partiti di sinistra dell’arco costituzionale, con in testa il Partito Democratico guidato da Enrico Letta, incluso il Movimento 5 Stelle rivisitato in versione progressista ad opera di Giuseppe Conte. Si sa, del resto, senza voler con questa proposizione mancare in alcun modo di rispetto alle persone non vedenti o ipovedenti, come recita un vecchio proverbio che credo sia lucano, o che almeno io ho ascoltato proferire in Basilicata, che in un paese di orbi, di ciechi, quello con un occhio solo, il ciclopico Polifemo di turno, viene eletto sindaco, con ciò a sottolineare con turbata, sarcastica e triste ironia una condizione penosa generalizzata dalla quale chi riesce ad astrarsi, per meriti individuali, fortuna o caratteristiche personali peculiari viene considerato migliore, più appropriato, in un certo senso a guidare ed istruire gli altri. Ciò nondimeno, resta però assurdo dover constatare, a mio avviso, pur tenendo conto della potenza di moltiplicare esponenziale delle piattaforme web e dei social network grazie alle catene di followers, e della forza della comunicazione nella società globale dell’informazione digitalizzata, che possa essere un cantante popolarissimo il grimaldello più appropriato per scardinare vetuste ed insopportabili incrostazioni ideologiche sul tema e la leva capace di scatenare il dibattito tra l’opinione pubblica, in merito, nello specifico, sulle questioni che riguardano l’omo-trans-fobia e l’approvazione da parte del Parlamento italiano del Ddl Zan, che dovrebbe tutelare e promuovere i diritti delle donne e degli uomini appartenenti a categorie di fatto discriminate ed a giusta ragione, seppur non da tutti, considerate tali, anche a fronte dei continui episodi di violenza e vessazione che essi subiscono e che purtroppo registriamo alle nostre latitudini. Mi riferisco, ovviamente, a quanto accaduto sabato scorso in diretta su Rai 3 dall’Auditorium Parco della Musica di Roma in occasione del tradizionale concerto organizzato il primo maggio per la festa del lavoro dalle confederazioni sindacali di CGIL, CISL e UIL ed alle dichiarazioni dirompenti lanciate da quel palco prestigioso, per quanto ridimensionato per ragioni dovute al contenimento dell’epidemia da Covid 19, dal rapper milanese ma di origini lucane Federico Lucia, in arte Fedez, compagno dell’altrettanto nota e ricchissima influencer Chiara Ferragni. Premetto subito che, pur amando il suo genere di musica, o avendolo amato da adolescente, non sono un suo fan, legato come resto alla scuola tradizionale dei vari J-Ax & Co, capostipiti dell’arte di mettere in musica parole e rime qui da noi. Né tollero, a dire il vero, la sovraesposizione mediatica cui, insieme con la Ferragni, mi pare Fedez costringa l’ignaro Leone Lucia, suo figlio, e da alcune settimane a questa parte anche la secondogenita, la neonata Vittoria, immortalandoli in ogni attimo di vita privata per storie buone per Instagram, come per mamma e papà, a suon di dollari versati dagli sponsor per abitini, ciuccetti, biberon e scarpette da ginnastica all’ultima moda. E va debitamente ricordato, per amor di verità, che proprio lo stesso Fedez si è reso protagonista, per quelli che lui definisce errori di gioventù, di atteggiamenti omofobi, attaccando e prendendo di mira e per i fondelli con strofe volgari ed espressioni sessiste da macho in alcuni suoi brani personaggi pubblici dichiaratisi gay e/o omosessuali attraverso una meritoria operazione di outing, sempre problematica per la necessità di mettere fuori ed esporre le proprie convinzioni e le proprie passioni ed inclinazioni più intime, spingendo molti commentatori a parlare di malcelata e malriposta ipocrisia per interesse personale di autopromozione. D’altro canto, a lui e signora, va riconosciuto il merito, per quanto in senso strumentale possa essere interpretato con visioni dietrologiche tutte da dimostrare, di essersi spesi negli anni scorsi, sfruttando e valorizzando così la loro immagine, divenuta potente megafono per un’eco mediatica altrimenti impensabile, come nell’avvenimento che sto commentando, su tematiche sociali di particolare rilevanza, finanche promuovendo campagne con donazioni personali cospicue, come quella per sostenere i lavoratori dello spettacolo colpiti dalla crisi economica dovuta all’emergenza da coronavirus, che hanno consentito loro di ricevere onorevoli riconoscimenti, quali l’Ambrogino d’oro conferito dal Comune di Milano e dal sindaco Sala in persona. Tornando nel merito, le esternazioni di Fedez, che la Rai attraverso alcuni suoi funzionari e finanche col vicedirettore di rete di Rai 3, Ilaria Capitani, aveva cercato di tenere in sordina o, quantomeno, di ammorbidire edulcorandole, esse hanno colto nel segno, per dirla con un’espressione utilizzata dal direttore di La7 Enrico Mentana, almeno su due versanti differenti, seppur intersecati tra loro. Da un lato ed in primo luogo, per ciò che riguarda l’argomento precipuo e già richiamato in capo a questo testo, delle discriminazioni di genere e di orientamenti e preferenze sessuali e circa il problema, perché non risolto culturalmente e socialmente e politicamente, scientemente non affrontato, dei diritti civili (si pensi alla melina indigesta con cui da anni viene procrastinata la discussione e l’approvazione di una legge sullo ius soli o ius culturae, che dir si voglia, con buona pace delle intenzioni del capitano della nazionale di calcio femminile, Sara Gama). Dall’altro, in seconda battuta, meno importante ma non meno cogente, sul versante della presunta censura, o tentativo di censura da parte dei vertici Rai di cui, scuse posticce e rassicurazioni di maniera a parte arrivate dall’amministratore delegato dell’azienda Fabrizio Salini, sarebbe stato vittima, come appare evidente da un video che lo stesso Fedez si è premurato di pubblicare dopo aver registrato in viva voce la telefonata con i suoi interlocutori e che al netto di possibili tagli o aggiustamenti sembra innegabile ed incontrovertibile. In proposito, il noto giornalista Michele Santoro, interrogato dal collega Massimo Giletti nel corso dell’ultima puntata della trasmissione che questi conduce sulla tv dell’editore Urbano Cairo, “Non è l’arena”, sostiene che, in un contesto dove la mediocrità imperante e costrittiva dell’appartenenza di filiera da cooptazione supina alla classe politica ed ai potenti di turno si fa sistema, la censura solitamente neppure serve, perché chi ha in mano il microfono si preoccupa di autolimitarsi per non scontentare nessuno e non indispettire i capi, proponendo una narrazione opaca ed appiattente di fatti e opinioni e chi sarebbe deputato per mestiere e prerogative dell’Ordine di appartenenza a porre domande scomode se ne guarda bene, o è stato messo ai margini e fatto fuori prima. Un fenomeno, questo, di non difficile constatazione e a tutte le scale di giudizio, nella nostra professione, che troverebbe riscontro e pertinente giustificazione nelle prossime nomine in programma nell’azienda televisiva incriminata, argomento sul quale, la vera ciccia da spolpare e contendersi, dopo quanto accaduto, ha preso la parola anche il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi, proponendo un amministratore delegato non nominato dai partiti ed indicato dalla politica intesa in senso lato. Sul punto dei diritti civili, invece, senza indugiare oltre sulle aberranti considerazioni fatte proprie da esponenti della Lega di Matteo Salvini che Fedez ha passato sapientemente, esaustivamente e puntualmente in rassegna sparando ad alzo zero su alcuni, discutibilissimi esponenti del Carroccio nonché, ahinoi, rappresentati delle istituzioni repubblicane, mi limito a constatare che sia in ambito sociale che legislativo e costituzionale siamo fermi al palo da decenni, nel silenzio imbarazzato ed imbarazzante di una classe politica timorosa ed incapace di intestarsi meritorie ed improcrastinabili battaglie di civiltà semplicemente per utilitaristici e direi persino mal calibrati calcoli di natura elettorale, nella paura di scontentare le alte schiere vaticane lontane anni luce dalle intenzioni ecumeniche di Papa Francesco e di ricevere una bocciatura alle urne da un elettorato considerato a torto non avveduto sull’argomento e sulla stessa lunghezza d’onda, retrograda e stagnante, dei suoi delegati. Continui ed insopportabili, inaccettabili, sono da questo punto di vista gli episodi di discriminazione e violenza che si registrano nei confronti di gay, lesbiche, di persone dello stesso sesso che manifestano pubblicamente il loro amore, magari semplicemente con un bacio, non nascondendo la loro relazione ma scegliendo di viverla alla luce del sole. Così come insistono e persistono le discriminazioni di genere nei confronti delle donne, sia da monito didascalico in tal senso il prezzo del costo del lavoro pagato a queste ultime, a parità di tempo, funzioni, produttività, responsabilità e mansioni nei confronti degli uomini, di cui abbiamo già detto in passato in altri editoriali, ed alla quasi totale assenza di queste nelle posizioni apicali e di vertice nei settori più disparati dell’economia sia pubblica che privata. Senza ammiccare, per questo, al garantismo peloso di cui si fanno portavoce femministe in saldi e dell’ultim’ora, della domenica, alla Daniela Santanchè di Fratelli d’Italia, imprenditrice affermata ed emancipata, probabilmente, grazie ai soldi del Billionaire e stereotipo vivente del più reazionario sessismo conservatore, per cui la donna è l’immagine dell’abito elegante e costoso che indossa, magari per gli occhi dell’uomo, che con le sue battute indigeste e i suoi perfidi sorrisi regalati nei salotti tv non fa altro a mio parere che riproporre un’antiquata e sorpassata rigida divisione delle sfere di pertinenza di ciascun sesso, del padre e della madre, finendo per ledere coscientemente alla questione di cui ardisce e vorrebbe essere improbabile portavoce, quantunque in tacco 12 griffato. Perché le donne sono molto altro e, lo cantavano negli anni Novanta del secolo scorso addirittura Jo Squillo e Sabrina Salerno, di certo non paragonabili per levatura a una Aung San Suu Ki, ad una Liliana Segre o ad una Madre Teresa di Calcutta, “oltre le gambe c’è di più”! E mi permetto pure di tralasciare di soffermarmi sulle convinzioni medievali, ed è un complimento, di una certa parte del mondo cattolico nostrano, come quelli del family day e alcuni preti, che arrivano a dire che ci sarebbe una lobby gay pronta ad iniettare farmaci che spingono all’omosessualità ai bambini nelle scuole, roba da caccia alle streghe e da roghi del tribunale dell’Inquisizione di cui la statua di Giordano Bruno eretta nella capitale in Campo de’ Fiori porta memoria imperitura. E non servono, alla luce del disinteresse manifestato nelle sedi deputate dai loro partiti, le enunciazioni via Twitter del segretario del Pd e del manovratore dei 5 stelle, che appaiono più come maldestri tentativi di mettere il cappello su di un assunto di senso comune piuttosto che l’esplicitazione di un fondato convincimento politico, dimostrato e dimostrabile con fatti, atteggiamenti ed azioni concrete, alla luce della incapacità di tradurre tali proposizioni in leggi come constatato in capo a questo articolo. La speranza, in attesa di un’improbabile conversione alla scienza o almeno ad un rispettoso buonsenso dei leghisti elencati nel suo pamphlet orale dal rapper meneghino è che, se non altro, si vogliano ascoltare le frasi pronunciate al riguardo dal Pontefice: per tutto il resto, “Non ci resta che piangere”, ma nonostante tutto, bisogna avere Fedez, almeno un po’.